La sindrome da lavoro eccessivo
Che cos’è il burnout?

«Burnout» è un termine generico che designa uno stato di esaurimento emotivo, mentale e fisico caratterizzato da una mancanza di stimoli e da un calo dell’efficienza che si presenta di norma al termine di un circolo vizioso di sovraffaticamento e di lavoro eccessivo protrattosi per mesi o addirittura anni.

È normale essere fisicamente o mentalmente esausti dopo aver lavorato duramente. Tutti lo sanno – e ognuno ha il proprio modo di gestire la situazione e di ricaricare le batterie: magari dormendo fino a tardi, rilassandosi, concedendosi un lungo fine settimana, una vacanza o dedicandosi a un’attività sportiva…
Ma quando questi metodi non funzionano più e non è più possibile recuperare, ecco che la cosa diventa pericolosa.

Il burnout può colpire chiunque, non solo chi va al lavoro, ma anche le casalinghe, i disoc-cupati, i pensionati o gli studenti. Sono soprattutto le persone scrupolose a essere particolar-mente a rischio, persone impegnate, per le quali è importante ottenere dei buoni risultati e che prendono seriamente ciò che fanno.

Hanno fatto notizia dei casi famosi di burnout fra atleti (Anthony Ervin, Jax Mariash Koudele), popstar (p.es. Mariah Carey, Eminem) o attori (Owen Wilson, Renee Zellweger) che hanno abbandonato la propria carriera o l’hanno messa temporaneamente in stand-by.
Da allora, la sindrome da burnout attira sempre di più l’attenzione del pubblico e dei media.

Secondo degli studi rappresentativi1, circa il 7% di tutti i lavoratori è affetto da una sindrome da burnout, e molti sono a rischio di contrarla.
In taluni gruppi professionali (quali p.es. dirigenti, consulenti commerciali, insegnanti, operatori sociali, medici, infermieri, autonomi, ecc.) la frequenza di manifestazione di tale sindrome è notevolmente più alta che in altri gruppi. Un atleta su dieci soffre della sindrome da burnout2.

Tuttavia, il fattore decisivo perché si scateni non è il numero di ore lavorative o il tipo di mansioni professionali, quanto le complesse inter-azioni fra le condizioni di lavoro e le caratteristiche individuali che portano a una situazione di stress persistente e, infine, al completo esaurimento.

Una sindrome da burnout non va presa alla leggera. Le conseguenze possono essere gravi. Inizia con una temporanea riduzione dell’efficienza in chi ne è affetto, ma può portare di sicuro a un pensionamento anticipato (invalidità) o addirittura al suicidio. E con l’aumentare della gravità del burnout, aumenta di pari passo anche la probabilità di depressione o dipendenza man mano che la malattia progredisce.

Tuttavia, le conseguenze del burnout non sono limitate a chi ne è colpito e alle persone immedatamente vicine, ma hanno anche risvolti economici: aumento dell’assenteismo, ricambio maggiore di personale e ridotta produttività dell’organizzazione.

As an example, here are two representative studies: the BIBB / BAuA Employment Survey 2005/2006 and an epide
miological cross-sectional study of the working population of Finland. https://www.aerztezeitung.de/medizin/krankheiten/neuro-psychiatrische_krankheiten/depressionen/article/876151/druck-burn-out-trifft-jeden-10-leistungssportler.html

Nel 2000, la Segreteria di Stato svizzera dell’economia (SECO) ha stimato che i costi economici della perdita di produzione dovuta a stress si attestassero appena al di sopra di 4 miliardi di franchi svizzeri, o a circa l’1,2% del PIL3. Per la Germania, uno studio del 2008 delle casse mutue aziendali stimava i costi economici dovuti a stress mentale correlato al lavoro a circa 6,3 miliardi di euro annui.

In tali calcoli, tuttavia, non sono ancora stati inclusi i costi sociali aggiuntivi (divorzi, problemi comportamentali dei figli) che possono subentrare nell’ambiente familiare di persone affette da burnout. Le cifre di cui sopra pongono il problema sempre più impellente di prevenire le situazioni di stress. Si tratta, però, di un’esigenza che si sta imponendo piuttosto timidamente – in molti casi non vi è ancora una piena presa di coscienza della stretta relazione che intercorre fra lo stress, le condizioni ambientali e lavorative e i costi economici che ne conseguono.

Sintomi
I sintomi del burnout sono vari e soggettivi. Non è raro che si presentino come simili a quelli della depressione, una malattia comune concomitante o conseguente al burnout fisico, emotivo ed emozionale:

  • Fatica cronica e fatica mentale che non scompare nemmeno dopo un periodo di riposo (p.es. una vacanza).
  • Distanziamento dal lavoro, ovvero la perdita della relazione interiore con il lavoro che si manifesta in una ridotta esigenza di avere successo sul lavoro, in pensieri peggiorativi e cinici riguardo al lavoro e nel desiderio di cambiare professione.
  • Disturbi fisici, come disturbi del sonno, una maggiore suscettibilità a contrarre infezioni, perdita dell’appetito, mal di testa e di schiena, capogiri, pressione del sangue instabile, tachicardia e tinnito.
  • Cambiamenti a livello mentale, come per esempio maggiore irritabilità, irrequietezza interiore, incapacità di staccare dopo il lavoro, agitazione, vuoto interiore, svogliatezza, paura, noia, disperazione, rassegnazione, frustrazione, senso di inutilità, blunting (depotenziamento emotivo).
  • Limitazioni dell’efficienza cognitiva, per esempio disturbi della concentrazione, incapacità di decidere, dubbi su di sé, perdita dell’efficienza.
  • Cambiamenti comportamentali, come per esempio astinenza, iperattività, consumo di sostanze stupefacenti, rifiuto di attività di svago.

 

Cause
«I’ve done too much for too many for too long with too little regard for myself.»
(Citazione di un soggetto affetto)4

È una citazione che chiarisce brevemente ed esplicitamente le circostanze che possono portare al burnout. Fatale è quasi sempre l’evoluzione “insidiosa” – i primi sintomi del burnout vengono trascurati a lungo dalle persone colpite.

Il fatto di ignorare o minimizzare i relativi sintomi di esaurimento fa parte, in una certa misura, del quadro clinico. Molti sono riluttanti ad ammettere di essere stati colpiti da burnout, perché temono di essere etichettati come deboli o inaffidabili.

I fattori scatenanti specifici di una sindrome da burnout possono differire molto da caso a caso. In generale, tuttavia, gli scienziati concordano sul fatto che la sindrome da burnout sia il risultato di uno stress cronico dove alcuni fattori agiscono reciprocamente su due livelli.

Al primo livello troviamo agenti di stress esterni che causano lo stress in questione. In ambito professionale, i fattori influenzanti possono essere a livello organizzativo, p.es. determinate caratteristiche della struttura gerarchica, una mancanza di risorse, determinati meccanismi di rimunerazione aziendali o vincoli di carattere amministrativo.

Altri potenziali fattori di stress si trovano nel contesto sociale, come l’interazione con i colleghi e i supervisori, o con famiglia e partner. Il burnout è favorito, fra l’altro, dai seguenti fattori:

  • Elevato carico di lavoro, scadenze pressanti, alta responsabilità e mancanza di risorse (a livello di forze disponibili, di risorse finanziarie o anche del know-how necessario).
  • Mancanza di controllo o di autodeterminazione, mancanza di spazio d’azione, mancanza di partecipazione nei processi decisionali.
  • Pochi o nessun feedback positivo, stipendio inadeguato (specialmente per alcuni operatori sociali a basso reddito per i quali la mancanza di stipendio equivale a una sorta di disprezzo per il lavoro eseguito).
  • Lavoro di squadra insoddisfacente, mancanza di comunicazione, mancanza di supporto sociale dalla famiglia, dai colleghi e dai supervisori.
  • Conflitti di ruolo e di valori.
  • Rischio di perdita del posto di lavoro

Al secondo livello troviamo fattori della personalità individuali che offrono un terreno fertile per lo sviluppo della sindrome da burnout. Tra questi vi sono tratti della personalità che spesso, inizialmente, dimostrano di favorire lo sviluppo professionale dell’individuo che viene comunemente additato come «quello che agisce», come «incitatore» o come «soggetto dalle prestazioni eccellenti» Questi tratti della personalità comprendono generalmente:

• L ’essere troppo esigenti nei confronti di se stessi, idealismo e perfezionismo e, di conseg-uenza, un grande timore di fallire.
• Aspettative esagerate o non realistiche riposte nella professione (per esempio il frainten-dimento di clienti fondamentalmente collaborativi e riconoscenti), l’intenso desiderio di un riconoscimento legato ai successi conseguiti, una grande ambizione e il bisogno di mettersi alla prova.
• La difficoltà di dire no (paura del rifiuto, per esempio); il desiderio di compiacere a tutti.
• Mancanza della capacità di distaccarsi dal lavoro o sovraidentificazione con lo stesso.
• Diffidenza nei confronti di altre persone ed eccessiva fiducia nelle proprie capacità.
• Tendenza a ignorare le proprie esigenze (di rigenerazione) sul lungo termine, a negare noia e insoddisfazione e a ignorare i segnali di pericolo.

Quando determinate circostanze convergono su entrambi i livelli per un periodo di tempo prolungato, si mette in moto una spirale discendente di congestione e di eccessive aspettative nei confronti di se stessi che porta, infine, al collasso. Solo allora si perviene a un mix esplosivo che può portare all’esaurimento totale, anche se non necessariamente.

Il fattore scatenante stress
Da un punto di vista biologico, la reazione a uno stress ha come scopo, tramite il rilascio di ormoni dello stress (fra cui adrenalina (o epinefrina), noradrenalina (o norepinefrina) e cortisolo) nel momento in cui si percepisce un grave pericolo, quello di attivare un attacco o meccanismo di fuga riflessivo per garantire la sopravvivenza.

Da un punto di vista ormonale, tale reazione avviene nell’organismo su due assi principali che differiscono quanto alla durata dell’azione e quindi al potenziale danno che possono infliggere all’organismo stesso. Gli ormoni dello stress adrenalina e noradrenalina svolgono un ruolo importante sul primo asse, mentre l’ormone dello stress cortisolo lo svolge sul secondo.

La seguente spiegazione (semplificata) permette di comprendere in modo rudimentale il ruolo di questi ormoni nello sviluppo degli effetti collaterali sintomatici dello stress.

Lo stress costante produce conseguenze fatali sull’organismo.
L’ormone dello stress adrenalina viene rilasciato direttamente in una situazione di stress acuto e aumenta l’approvvigionamento energetico del corpo per un certo periodo di tempo. Organi come il cuore sono spinti a lavorare più duramente, mentre altre attività organiche dall’elevato dispendio energetico, come la digestione, vengono sospese per un pò.

Cuore, cervello e muscoli ricevono più sangue e, quindi, più ossigeno grazie all’incremento della circolazione. Possiamo reagire più rapidamente e con efficacia in una situazione di pericolo.

L’ormone dello stress noradrenalina, anch’esso rilasciato direttamente, agisce principalmente come neurotrasmettitore nell’amigdala, una parte del sistema limbico e, in un certo senso, l’area del cervello in cui è codificata l’ansia.

Tramite una migliore connessione delle cellule nervose in tale area, la noradrenalina stimola la produzione dell’ansia in caso di stress e, collegando

la situazione a delle emozioni, fornisce una migliore memorizzazione di quanto è avvenuto.In generale, tuttavia, la reazione adrenalina/noradrenalina produce un effetto a breve termine, poiché la capacità di formare legami dei relativi recettori per adrenalina e noradrenalina si riduce sensibilmente dopo il primo collegamento.

Una situazione di stress che si protrae nel tempo comporta, tuttavia, una riduzione degli effetti di adrenalina e noradrenalina portando, infine, a un esaurimento naturale a livello biochimico della sua efficacia.

Anche l’ormone dello stress cortisolo agisce da stimolante per il corpo, ma con effetti più a lungo termine. In uno stato di stress acuto, viene rilasciato nel sangue dalla corteccia surrenale e trasportato tramite i vasi sanguigni in diverse aree del corpo. Se la condizione che provoca lo stress permane, si verifica un aumento a lungo termine del livello di cortisolo.

Ciò porta a un livello glicemico costantemente elevato e a un aumento della resistenza all’insulina, si ha meno appetito o non se ne ha affatto.

Allo stesso modo, l’aumento del battito cardiaco comporta un incremento delle prestazioni cardiovascolari e le attività ad alto consumo di risorse (quali p.es. la crescita ossea, l’assorbimento di calcio intestinale, il nutrimento della pelle e l’immagazzinamento del glucosio a livello cellulare) subiscono un rallentamento.

Il sistema immunitario è indebolito dalla riduzione dell’attività delle cellule “T Helper” (cosid-dette cellule “natural killer”) e aumenta la suscettibilità a contrarre infezioni.

Diminuisce il fabbisogno di sonno, si attenua la sensazione di dolore. In talune aree del cervello (special-mente nella corteccia cerebrale necessaria per la formazione del pensiero complesso e associativo, nonché nella memoria dichiarativa) avviene un blocco del pensiero.

Si tratta di reazioni che erano indubbiamente essenziali nei tempi antichi, poiché permettevano di non esitare in combattimento o in situazioni di fuga. Ma oggigiorno si rivelano piuttosto dannose, poiché le energie rilasciate sono dirette a creare costantemente una situazione di stress rivolta contro il corpo e la salute.

Per esempio, se l’organismo viene deprivato del sonno non ha modo di rigenerarsi a sufficienza. Un battito cardiaco costantemente elevato comporta una maggiore suscettibilità a contrarre malattie cardiovascolari.

Diversi studi hanno rilevato che i pazienti in situazione di stress cronico soggettivo e di sovraccarico di lavoro presen-tavano un incremento superiore alla media della concentrazione di cortisolo5,6,7.Un alto livello di cortisolo che si protrae nel tempo inibisce la formazione di neuroni in diverse aree del cervello e porta perfino alla morte delle interconnessioni neurali all’interno del cervello.

Di conseguenza, uno stress costante porta a perdita di memoria e di appetito, disturbi della libido e del sonno, aumento dell’accumulo di grasso, atrofia muscolare e depressione8

Il fattore scatenante dell’attuale mondo del lavoro
Il mondo del lavoro e le condizioni di lavoro sono cambiati rapidamente negli ultimi 20 anni. La società industriale è stata sostituita da quella dell’informazione e dei servizi.
Il lavoro è diventato sempre più scarso, ma la produttività ha subito un’impennata. La modifica delle condizioni di lavoro ha portato anche a un cambiamento dei requisiti richiesti ai dipendenti e, soprattutto, del carico di lavoro fisico.

La globalizzazione e l’era elettronica con i suoi strumenti quali smartphone e laptop, insieme all’onnipresente connessione a Internet, non permettono mai di staccare veramente dal lavoro, nemmeno in treno o nella sala d’aspetto dell’aeroporto, figuriamoci poi sul divano di casa o in vacanza. La possibilità di accedere costantemente a Internet è considerata necessaria e data, quindi, come scontata in diversi luoghi

Il fattore scatenante delle aspettative di ruolo.

Agli ovvi fattori strutturali e di autosfruttamento del lavoro si uniscono fattori di influsso subliminali sotto forma di valori sociali fondamentali e di aspettative di ruolo. Le norme sociali influenzano la nostra attitudine al lavoro e, quindi, il nostro impegno professionale.

Nel mondo occidentale si applica la meritocrazia: chiunque svolga un compito viene rispettato, riconosciuto e apprezzato. Chi non fa nulla o fa troppo poco agli occhi della società si guadagnerà incomprensione e disprezzo. Il lavoro diventa un creatore di identità. Studi scientifici sugli orientamenti di valore di giovani professionisti mostrano come la loro identità sia strettamente legata al tipo di successo dell’attività lucrativa,10.

Soprattutto per i più qualificati, il lavoro non è più solo una possibilità di sviluppo personale e di realizzazione dei propri diritti, ma l’autorappresentazione tramite il lavoro diventa uno stimolo sociale che si traduce in elevate aspettative nei confronti di se stessi.

Chiunque si sottoponga a lunghi periodi di formazione, si aspetta che tali «investimenti» lo ripaghino successivamente nella propria biografia professionale, che sia sotto forma di reddito, di prestigio nel lavoro, di avanzamento professionale, di realizzazione personale piuttosto che di reputazione.

Evoluzione
Lo stadio primario di una sindrome da burnout è caratterizzato dal fatto che la persona stenta quasi a concedersi del riposo, ma si identifica al contrario con il proprio lavoro ponendolo costantemente in cima alla lista delle proprie priorità. Il soggetto in questione si aspetta di rendere il 100% e per farlo deve mantenersi costantemente sotto controllo.

Si inizia entusiasti, si finisce esauriti
Nello stadio primario della sindrome da burnout predominano impegno, entusiasmo ed elevate, pressoché irrealistiche aspettative nei confronti di se stessi. Spesso si usa la seguente formulazione: «Chi non ha mai bruciato, non può essere consumato.»

A un certo punto, inevitabilmente, compaiono i primi segni di fatica, ma la persona colpita continua a ignorarli, così come ignora il disappunto e la frustrazione per non aver concretizzato determinate aspettative legate al lavoro. Il tentativo di conseguire i risultati sperati tramite un impegno ancora maggiore porta a un esaurimento insidioso e inesorabile di cui la persona colpita non si accorge se non dopo un lungo periodo.

I bisogni personali vengono posticipati così a lungo che la loro rinuncia non viene quasi percepita come tale.

L’esaurimento è seguito da un ritiro emotivo. Nei pensieri e nei sentimenti della persona colpita dalla sindrome si insinuano avversione e un chiaro atteggiamento di distacco o cinico nei confronti di colleghi, pazienti, clienti, ecc.

Infine, nello stadio avanzato, si avverte una perdita della percezione di se stessi. I soggetti colpiti soffrono di disorientamento, ansia e senso di impotenza, disinteresse, apatia e sintomi fisici (per esempio mal di schiena, disturbi del sonno e digestivi).

I cambiamenti comporta-mentali divengono chiari e al ritiro emotivo segue quello sociale.

La persona colpita sviluppa un atteggiamento difensivo contro le critiche, perde le proprie capacità di prestazione, soffre di perdita di concentrazione, conclude poco e riesce a svolgere il proprio lavoro solo con grandi sforzi. Da qui al collasso totale e all’esaurimento completo, a volte con conseguenze pericolose per la vita stessa, la strada è breve

Terapia e prevenzione
La prevenzione e la cura della sindrome da burnout si pongono come obiettivo principale quello di ridurre lo stress. Tuttavia, i metodi terapici e le opzioni di cura discusse in ambito scientifico e nella prassi differiscono notevolmente.
Sono due gli approcci principali alla riduzione dello stress:

  1. Eliminare i fattori di stress esterni
  2. Modificare la modalità di gestione dei fattori di stress

Riduzione dello stress
I fattori che scatenano lo stress e che possono portare al burnout sono sia interni che esterni. Non tutti gestiscono i fattori di stress esterni (come i tempi ristretti, la diversità dei compiti o i conflitti nell’ambiente sociale) allo stesso modo. Il medesimo fattore di stress esterno può creare più stress e mettere maggiormente alla prova un soggetto piuttosto che un altro da un punto di vista psicologico.

La differenza individuale del grado di sollecitazione (a che livello una persona si senta stressata da un fattore di stress) è fondamentalmente equiparabile al diverso livello di stress fisico, per esempio, il sollevamento di un manubrio di 30 kg.

A seconda dell’età, del sesso, della corpo-ratura, della salute o dell’integrità fisica e del livello di allenamento (oltre che della tecnica corretta) tale compito è molto più semplice per soggetti in condizioni e con risorse fisiche favorevoli che per soggetti con una condizione fisica di partenza sfavorevole.

Analogamente, i requisiti, le risorse e le facoltà di cui una persona è dotata a livello psico-logico svolgono un ruolo importante quando si tratta di affrontare una situazione di stress mentale.

Per esempio, chi ripone elevate aspettative nella propria efficacia personale, chi ha un’estrema fiducia di base in se stesso e un atteggiamento generalmente positivo rispetto alla vita con obiettivi e aspettative realistici – Aaron Antonovsky parlerebbe di un forte senso di coerenza11  possiede una posizione mentale iniziale decisamente migliore per affrontare lo stress rispetto a una persona che dubita di se stessa, che ha sentimenti di grande incertezza, di sfiducia negli altri e aspettative e pretese eccessive.

Siccome la reazione a fattori di stress esterni è individualmente diversa, molti approcci terapeutici mirano non solo a ridurre i fattori di stress esterni, ma anche a migliorare le strategie soggettive di gestione dello stress, le cosiddette strategie di coping. Si ritiene che si possa migliorare la propria capacità individuale di reagire allo stress, così come si è in grado di aumentare la propria resistenza fisica tramite un allenamento fisico mirato e bilanciato.

Gestione dello stress
Le strategie di gestione dello stress, che riducono o eliminano le cause dello stress natural-mente, funzionano meglio sul lungo termine. Ma il successo non è sempre assicurato e solo alcuni fattori di stress esterni possono essere rimossi facilmente e velocemente.
È, quindi, di basilare importanza sviluppare strategie di coping individuali che riducano durata e intensità della risposta di un soggetto allo stress. In tale contesto, è possibile distinguere fra strategie di «coping» a breve e a lungo termine.

Le strategie di coping a breve termine sono particolarmente indicate se la causa del fardello in sé non può essere modificata in quel dato momento e lo stress è acuto o immediatamente prevedibile. Esempi di strategie a breve termine includono12:

  • Abreazione e distrazione: con una breve passeggiata, sedendosi su una sedia e guardando fuori dalla finestra, pensando all’ultima vacanza, alzandosi e sciogliendo i muscoli per poi fare un bel respiro profondo, spostando semplicemente la propria atten-zione su qualcosa di diverso – non importa che cosa si faccia per rilassarsi spontanea-mente: l’attività dovrebbe essere priva di stress e immediatamente fattibile; è impor-tante poi godersi il momento senza avere la coscienza sporca.
  • Smettere di pensare e auto-istruzione positiva: interruzione consapevole della spirale di pensieri negativi e delle rimuginazioni e prevenzione della loro ricomparsa, immagi-nando delle possibili difficoltà come gestibili (per esempio con un «ci proverò»). Si tratta di richiamare alla mente ciò che realisticamente si è in grado di fare e i successi ottenuti in passato, eliminando in tal modo dai propri pensieri o relativizzando gli eventuali dubbi.
  • Distaccarsi interiormente: un sistema comprovato per distanziarsi interiormente da pensieri in grado di scatenare stress in situazioni di stress acuto consiste nel mettere per iscritto tali pensieri. Scrivendo si crea distacco, i pensieri di incertezza, le rimuginazioni o la paura di fallire che sembrano predominare appaiono improvvisamente molto più gestibili se riportati in modo chiaro su un foglio di carta.
  • Creare soddisfazione: svolgere consapevolmente delle attività non basate su considera-zioni di utilità, ma su inclinazioni personali e in grado di dare benessere; può trattarsi p. es. di attività di svago, di riunioni con amici e familiari, della lettura di libri distensivi, dello svolgimento di attività particolarmente significative o soddisfacenti, ecc.; anche in questo caso vale la regola secondo la quale chi svaluta siffatte attività o vi si dedica provando un senso di colpa non sperimenterà alcun effetto di riduzione dello stress, al contrario potrà veder aumentare tale sensazione di stress.

Tutte le strategie di coping summenzionate hanno un elemento in comune: possono offrire un sollievo in situazioni di stress acuto solo a breve termine. Sono, per così dire, delle piccole pause per bere durante la traversata del deserto. Non risolvono il problema di base, cosicché le condizioni che provocano lo stress permangono.

Per evitare un rischio di burnout a lungo termine in un ambiente lavorativo costantemente gravoso occorre adottare strategie di coping efficaci sul lungo termine. Tali strategie non possono essere attuate da un giorno all’altro. Riguardano spesso abitudini care o atteggiamenti e prospettive interiori sviluppati nel corso degli anni. Per questo cambiarli costa parecchio in termini di sforzi e pazienza alle persone affette dalla sindrome.

L’aiuto sostenibile contro il rischio di burnout offre strategie di gestione dello stress a lungo termine

  • Abbandono del ruolo di vittima
  • Esame delle proprie aspettative e degli obiettivi privati / professionali
  • Costituzione di risorse fisiche e mentali
  • Acquisizione e implementazione delle conoscenze di metodi di gestione del tempo, auto-gestione, gestione dei conflitti e rilassamento

Abbandono del ruolo di vittima
Chi soffre di burnout si vede spesso come vittima di circostanze avverse. Le offese e le delusioni ripetute, quali la mancanza di apprezzamento per il proprio lavoro, possono portare a un senso di esaurimento, di perdita del controllo e di impotenza. La percezione soggettiva della perdita del controllo, dal canto suo, è un’ulteriore fonte di stress che complica una risoluzione mirata dei problemi e consolida infine il ruolo di vittima12.

Le convinzioni interiori tipiche di persone che hanno assunto il ruolo di vittima sono, p.es., «Non posso comunque cambiare le cose,»
«Non sono mai fortunato,» «Non puoi farci niente,» ecc. Il vantaggio secondario13 dell’assumere il ruolo di vittima è che è comodo e la responsabilità per la risoluzione del problema è delegata ad altri, a persone esterne o, indissolubilmente, alle circostanze o al destino personale.

Tuttavia, mantenere questo tipo di condizione a lungo può avere conseguenze negative fatali per l’autostima, l’umore generale e la motivazione di una persona.

Per uscire da una simile situazione occorre cambiare il proprio atteggiamento: da «vittima» ad «attore», dalla sopportazione passiva al cambiamento attivo, dalla focalizzazione supercritica e generalizzazione dei fallimenti alla visione equilibrata della loro attuale frequenza seguita dall’analisi di quali punti di partenza offrano per le proprie azioni.

Solo quando la persona colpita è pronta a prendere in mano la situazione e a riconoscere il proprio ruolo nelle circostanze, ritenute puramente esterne, che scatenano lo stress, può iniziare un cambiamento sostanziale e possono essere adottate nuove strategie per gestire i fattori di stress.

Un simile cambiamento di atteggiamento è tutto fuorché facile – specialmente se si è già a uno stadio avanzato di fatica e sovraccarico di lavoro. Talvolta occorre ricorrere a un terapeuta per riconquistare la fiducia nella propria capacità di influenzare gli eventi.

Analisi degli obiettivi
Le aspettative eccessive e irrealistiche sono una fonte certa di stress a lungo termine.
Lo stesso dicasi per obiettivi professionali o privati troppo elevati.
Il confronto nominale/effettivo fra la situazione attuale e le proprie pretese di perfezione (irraggiungibili) può essere solo negativo.

Una possibile via d’uscita da tale trappola del perfezionismo consiste nel diventare consci delle proprie aspettative e dei propri obiettivi e nel porli poi criticamente sotto esame.

Quali di questi obiettivi così risolutamente perseguiti sono – se considerati da un punto di vista impar-ziale – semplicemente irrealistici?

Quale di essi può essere realizzato solo accettando enormi oneri e sforzi? Ne vale davvero la pena? Che prezzo si è disposti a pagare?

Analizzare aspettative e obiettivi funziona bene se ci si sente insoddisfatti di qualcosa.

Le delusioni non sono fondamentalmente altro che aspettative insoddisfatte.
Offrono l’opportunità di analizzare e, all’occorrenza, rivedere tali aspettative. Le aspettative esagerate sono spesso l’espressione di profonde esigenze interiori, p.es. il bisogno di riconoscimento, di controllo o di legami sociali, di piacere.

L’auto-analisi non si traduce in un ridimension-amento dei propri bisogni e obiettivi, in un azzeramento delle aspettative o in una rinuncia completa ad esse, ponendo se stessi in una sorta di rassegnata soddisfazione.

Al contrario, lo scopo dell’analisi critica è quello di nutrire obiettivi e aspettative ambiziosi, ma realistici. Così facendo, il più delle volte cambia la valutazione della situazione attuale e si impara a reagire con una maggiore calma interiore in situazioni di stress e a gioire di nuovo di un successo parziale.

Una tale analisi può avvenire tramite una sorta di dialogo interiore.
Tuttavia, si rivela spesso più utile consultare amici o familiari o ricorrere all’aiuto di uno specialista, come per esempio uno psicoterapeuta. Essi possono aiutare a organizzare pensieri e sentimenti, a scoprire aspetti precedentemente inimmaginabili e a equilibrare obiettivi e desideri contraddittori.

Creazione di risorse
Le risorse fisiche e psicologiche agiscono come un tampone contro lo stress oggettivo.
Sono varie e individualmente diverse – alcuni parlano per ore con i propri amici di esperienze stressanti e poi si sentono emotivamente e mentalmente tonificati. Altri preferiscono andare a pescare da soli tutto il giorno per liberare la mente.

Quando si tratta di creare o consolidare le proprie risorse occorre un’analisi introspettiva: che cosa funziona meglio?
Che cosa mi serve per riprendermi, sentirmi di nuovo sollevato e ricaricato?
Come misura contro lo stress costante può essere molto utile espandere le risorse a disposizione e scegliere quelle strategie di guarigione che funzionano meglio sul lungo termine.

Equilibrio vita-lavoro, trovare la giusta misura fra lavoro e relax.

Ogni atleta agonista sa di dover fare i conti con lesioni gravi e malattie se non si prende delle pause fra sessioni di allenamento intensive. Così come nello sport si ottengono solo piccoli miglioramenti di prestazione quando i muscoli non riposano fra un allenamento e l’altro, anche le prestazioni mentali ed emotive si perdono se non ci si concede pause di riposo.

È indispensabile, soprattutto in caso di stress permanente, inserire regolarmente nel lavoro quotidiano delle finestre temporali in cui non si abbia alcun obbligo di prestazione nei confronti di altri (o di se stessi) e dedicate esclusivamente al proprio riposo e al proprio recupero fisico e mentale.

Tuttavia, le persone fortemente orientate ai risultati con tendenza a sovraccaricarsi di lavoro trovano incredibilmente difficile accettare che delle pause per garantire la qualità del lavoro a lungo termine siano importanti quanto la loro propensione allo sforzo, la volontà di soddisfare elevate esigenze e il desiderio di migliorare sempre di più.

Prendiamo un’altra analogia dallo sport. Per i maratoneti vale la seguente regola generale: per ogni chilometro percorso durante una gara, l’allenamento successivo deve essere ridotto di mezza giornata (significa che dopo una maratona di 42 km occorre ridurre considerevolmente l’attività motoria per circa tre settimane).

Lo stesso vale per gli atleti professionisti e per i lavoratori instancabili: due giornate di lavoro con grande carico fisico o mentale giustificano una mezza giornata di attività ridotta o di recupero mentale mirato, poiché altrimenti si mette a rischio la produttività sul lungo termine.

Una bella idea, ma manca il tempo per metterla in atto? È quello che pensano comunemente le persone a rischio di burnout. Ma ignorare costantemente i bisogni fondamentali fisici e mentali presto o tardi porta al collasso fisico o mentale, non di rado a entrambi contempora-neamente. Chi non vuole rischiare che succeda deve procedere per tempo a riequilibrare la situazione.

La riduzione dell’ormone dello stress cortisolo nel corpo avviene molto più rapidamente se si pratica attività sportiva.

L’esercizio regolare (3 volte a settimana per almeno 20 minuti) prima o dopo il lavoro è, quindi, un modo sano per prevenire lo stress o per gestirlo, ma solo se praticato senza esigere troppo da se stessi. Per chi si mette sotto pressione non solo al lavoro, ma anche negli sport ricreativi, può trasformarsi in un’altra fonte di aspettative di prestazione deluse.

Alimentazione
La resistenza allo stress può essere influenzata e migliorata anche dall’alimentazione. Non si tratta solo della composizione del cibo in sé, ma anche dell’ora e dell’ambiente in cui si mangia.

Chiunque ingurgiti cibi grassi confezionati o da fast food, magari davanti al televisore o seduto alla scrivania, non dovrebbe sorprendersi di sentirsi stanco, insoddisfatto e poco concentrato. Si ha il medesimo effetto negativo quando si saltano i pasti e vi si sopperisce con grandi quantità di caffè e sigarette.

In che modo si può migliorare l’alimentazione per prevenire lo stress?
È risaputo che uno stress continuo indebolisce il sistema immunitario.

Per produrre costantemente milioni di cellule immunitarie, l’organismo umano necessita di elementi costitutivi che prende dall’alimentazione, in particolar modo vitamine, minerali e sostanze vegetali dotate di proprietà antiossidanti. Una scelta intelligente del cibo, un’alimentazione ricca di vitamine e povera di grassi basata sul modello mediterraneo, con grandi quantità di frutta fresca, insalata, verdura, cereali integrali e pesce, poco alcol, senza fumo, è uno dei sistemi migliori per prevenire lo stress.

Social relationships

Dei rapporti sociali di sostegno (con il partner, la famiglia, gli amici, i colleghi, ecc.) hanno il massimo effetto ammortizzante nei confronti dei dannosi effetti causati dallo stress. È un dato di fatto che può ritenersi scientificamente provato.

Si suppone che il sostegno sociale accresca l’autostima, la motivazione, le aspettative di successo e la disponibilità delle proprie capacità.

Riduce l’instabilità emotiva e modifica positivamente la valutazione dello stress e delle proprie capacità oltre a influenzare positivamente l’attitudine a risolvere i problemi ea incrementare direttamente il benessere facilitando la sopportazione e la gestione di eventi negativi14.

Il sostegno sociale è una risorsa essenziale per far fronte allo stress ed è, quindi, designato come «risorsa sociale».
Sfortunatamente, le persone affette da burnout rischiano di trascurare completamente questo tipo di risorsa di gestione dello stress.

Può avvenire magari per questioni di tempo, perché si identificano fortemente con il proprio lavoro considerandolo più importante di qualsiasi altra cosa e perché si sentono esauste, stanche e sopraffatte dagli eventi e incominciano a estraniarsi dal contesto sociale.

Gestione del tempo

Un altro approccio per far fronte allo stress consiste nell’acquisire e soprattutto implementare delle conoscenze sui metodi di gestione del tempo, sull’autogestione, sulla gestione dei conflitti e sul relax.

Metodi per attribuire la giusta priorità a obiettivi e compiti, l’abile suddivisione dei compiti, la minimizzazione degli sprechi di tempo, imparare a dire no e a porre dei limiti, lo sviluppo sistematico e costruttivo di competenze volte a risolvere i problemi e lo svago mirato.
Spetta a ognuno scoprire in ultima analisi quale di questi metodi e tecniche funzionino meglio e possano essere integrati regolarmente nella propria vita.

PEMFEMF Campi Elettro Magnetici, sincronizzazione delle onde cerebrali e stress

I PEMF e la sincronizzazione delle onde cerebrali possono aiutare a gestire lo stress in tre modi fondamentali:

  • Reduction of the brain’s response to stress
  • Elimination of neurotransmitters and hormones produced by ongoing stress
  • Protecting the cells and tissues of the body from the physical changes caused by stress hormones

In termini di riduzione della reazione o reattività cerebrale allo stress, la terapia con PEMF agisce positivamente sullo stato funzionale del sistema nervoso ed endocrino, nonché sul metabolismo tissutale. Il battito cardiaco e la pressione sanguigna scendono e il sistema cardio-vascolare diviene meno reattivo all’adrenalina.
Si attiva l’area del rilassamento del sistema nervoso (il sistema parasimpatico) e la produzione di cortisolo si riduce15.

La stimolazione dei reni con PEMF può accelerare l’escrezione degli ormoni dello stress prodotti. Lo stesso accade con l’ipotalamo nel cervello, che svolge un ruolo fondamentale nel controllare la risposta cerebrale allo stress.

In molte persone, il cervello si trova in una condizione esacerbata di aspettativa dovuta a stress. Si ritiene che la stimolazione del cervello in queste situazioni riduca la risposta allo stress, che sia percepito o reale. Spesso le persone che soffrono di disturbi da stress post-traumatico (PTSD) si trovano in uno stato cronico di iperreattività a stimoli anche minimi. La stimolazione magnetica transcranica ripetitiva (rTMS) del lobo frontale destro riduce i sintomi principali (rivissuto ed evitamento) e migliora nettamente i sintomi di ansietà, soprattutto a 10 Hz16,17.

L’ansietà è un’altra condizione che predispone gli individui a reazioni esagerate a fattori di stress. La quantità di onde cerebrali alfa sembra inferiore in tali soggetti. La sincronizzazione delle onde alfa è efficace nel coadiuvare le persone sofferenti di ansia18. I soggetti trattati hanno avuto risultati positivi quanto alla riduzione dei sintomi psichici, inclusi gli stati d’ansia, rispetto alla situazione iniziale prima della terapia di sincronizzazione.

Lo stress provoca chiaramente un’interferenza significativa nei normali ritmi cerebrali. Una ricerca condotta in Germania ha indicato che i PEMF a 10Hz stabilizzavano i ritmi circadiani19. L’utilizzo di tale frequenza può alleviare i disturbi da jet lag e altri disturbi del sonno. I ritmi circadiani controllano l’equilibrio ormonale dell’organismo e quando sono disallineati o sfasati possono causare la comparsa di diverse problematiche nell’organismo.

Lo stress è un chiaro esempio di come i ritmi circadiani e gli schemi delle frequenze cerebrali possano venire disturbati. I PEMF e la sincronizzazione delle onde cerebrali possono, quindi, rivelarsi utili per ridurre molte delle conseguenze fisiche dello stress, fra cui il disturbo dei ritmi circadiani, e per supportare la rigenerazione tissutale.

In generale, l’applicazione di PEMF non offre soltanto effetti fisiologici, ma anche una meritata pausa: integrando tale terapia nella routine quotidiana, ci si concede un momento di relax fisso che può aiutare a staccare consapevolmente la spina per un intervallo di 2 – 8 minuti quotidiani.

 

3 Ramaciotti, J Perriard (Gruppe für angewandte Psychologie der Universität Neuenburg & ERGOrama AG, Genf) im Auftrag des SECO: Die Kosten des Stresses in der Schweiz. SECO, 2003.

4 Bergner, T. (2004): Burn-out bei Ärzten. Lebensaufgabe statt Lebens-Aufgabe. Deutsches Ärzteblatt, 101, 33, A-2232 / B-1866/ C-1797.

5 Pruessner, M., Hellhammer, D., Pruessner, J. & Lupien, S.J. (2003): Self-reported depressive symptoms and stress levels in healthy young men: Associations with the cortisol response to awakening. In: Psychosomatic Medicine, 65, S. 92-99.

6 Steptoe, A., Siegrist, J., Kirschbaum, C. & Marmot, M. (2004): Effort-Reward Imbalance, Overcommitment, and
measures of cortisol and blood pressure over the working day. In: Psychosomatic Medicine, 66, S. 323-329.

7 Schulz, P., Kirschbaum, C., Pruessner, J. & Hellhammer, D.H. (1998): Increased free cortisol secretion after awakening
in chronically stressed individuals due to work overload. In: Stress Medicine, 14, S. 91-97.

8 Rensing, L., Koch, M., Rippe, B. & Rippe V. (2006): Mensch im Stress: Psyche, Körper, Moleküle. München: Spektrum Akademischer Verlag

9 Baethge, M. (1994): Arbeit und Identität. In: U. Beck & E. Beck-Gernsheim (Hrsg.): Riskante Freiheiten. Individuali
sierung in modernen Gesellschaften, Frankfurt/M: Suhrkamp, S. 245 – 261.

10 M. (1999): Subjektivität als Ideologie. Von der Entfremdung in der Arbeit zur Entfremdung auf dem (Arbeits-) Markt? In: G. Schmidt (Hrsg.): Kein Ende der Arbeitsgesellschaft. Arbeit, Gesellschaft und Subjekt im Globalisie rungsprozess, Berlin: edition sigma, S. 129 – 157.

11 see Newsletter SBS Medical Department September 2018: «What does health mean?» On the principle of saluto
genesis according to Aaron Antonovsky and the handling of stressors

12 Litzcke, S. M. & Schuh, H. (2007): Stress, Mobbing, Burn-Out am Arbeitsplatz: Umgang mit Leistungs- und Zeitdruck.

13 Unconscious gain within the reaction to a problem behavior. For example, secondary gain of self-prolonged illness is the attention and attention of others.

14 Wolf, I. A. (1998): Effekte von Stress, sozialer Unterstützung und Persönlichkeitsvariablen auf psychisches Befinden.
Dissertation Universität Marburg.

15 Vasilev IuM, Iakovleva SD. Magnetotherapy in cardiology (a review of the literature). Vrach Delo (3):42-47, 1990.

16 Cohen H, Kaplan Z, Kotler M, et al. Repetitive transcranial magnetic stimulation of the right dorsolateral
prefrontal cortex in posttraumatic stress disorder: a double-blind, placebo-controlled study. Am J Psychiatry. 2004 Mar;161(3):515-524.

17 Boggio PS, ROcha M, Olivieira MO, et al. Noninvasive brain stimulation with high-frequency and low-intensity repetitive transcranial magnetic stimulation treatment for posttraumatic stress disorder. J Clin Psychiatry. 2010 Aug;71(8):992-999.

18 Hardt JV. Alpha brain-wave neurofeedback training reduces psychopathology in a cohort of male and female
Canadian aboriginals. Adv Mind Body Med. 2012 Fall;26(2):8-12.

19 Wever RA. The electromagnetic environment and the circadian rhythms of human subjects. In: Grandolfo M, Michaelson SM and Rindi A (Eds.), Biological Effects and Dosimetry of Static and ELF Electromagnetic Fields, Plenum Pressm New York, NY. 1987.